1000 Euro in 1000 Rupie

1000 Euro in 1000 Rupie

Oggi ci siamo recati in posta a Srinagar, la capitale del Kashmir. Abbiamo passato il filo spinato ed i controlli armati, consegnato ai soldati le macchine fotografiche e finalmente, dopo essere stati perquisiti, siamo entrati nel palazzo. La struttura era anche abbastanza moderna nel design, probabilmente anni ’70, ma credo che da allora nessuno vi abbia più fatto manutenzione: ora era tutto un groviglio di cavi, confusione, sporcizia e carta ammassata.

Gli impiegati, comunque ben vestiti ed educati, non sembravano affatto prestare attenzione a quella strana scenografia degna di un cartone animato giapponese post-atomico. Era buffo ritrovarsi in un ufficio postale stile “Akira”: mi aspettavo che da un momento all’altro i rivoluzionari facessero esplodesse qualcosa!!

Noi dovevamo cambiare 500 euro a testa, due banconote accartocciate, ed abbiamo dovuto riempire un po’ di moduli e salire due piani fino alla tesoreria. Qui un buffo ometto con il collare ortopedico, rinchiuso dentro una gabbia, ci ha consegnato i soldi: 1000 euro in pezzi da 1000 rupie. La banconota da mille è il taglio indiano più alto ed è rara come la nostra banconota viola da cinquecento euro. Con mille rupie mangi due volte in due in un ristorante per occidentali di buona qualità, ma va tenuto presente che con 50 rupie puoi mangiare tranquillamente in un piccolo ristorante indiano. Hanno monete da cinque e due rupie ed una miriade di centesimi che non ho mai visto. Un euro vale all’incirca 65.90 rupie ma qui il cambio spesso oscilla semplicemente tra le 64 e le 65 rupie: ognuno prova a farci la “cresta”.

Il buffo omino mi sorride, dietro le sbarre, ci rifila una montagna di banconote da mille. Sorride mentre zitto-zito cerca di intascarsi il disavanzo del cambio in pezzi da mille: 200 rupie. Mi guarda con un sorriso idiota stampato in faccia mentre gli faccio capire che vengo da Asso, che gli hanno già spezzato il collo, che deve smettere di ridere e deve spicciarsi a darmi i soldi che mancano. Sono meno di cinque euro ma non puoi cercare di fregarmi solo perché sono straniero. Smette di ridere dietro i suoi stupidi occhiali da contabile e con le sue piccole mani mi allunga le rupie che mancano. Contiamo il malloppo, che è enorme, e gli lasciamo duecento rupie di mancia: goditele imbroglione, che ti vadano in medicine!!

Quello che ci troviamo in mano è qualcosa su cui vale la pena di riflettere: mille euro di questi tempi sono una cifra da non sottovalutare in Italia, sono due milioni delle vecchie lire, ma trasformati in rupie sono una montagna di banconote. Se entrate in un negozio di alimentari per comprare qualcosa o non hanno il resto a darvi o devono svuotate la cassa del negozio e di quello vicino. Noi ne abbiamo un tappeto in camera!!

Viviamo in un mondo proprio strano alle volte…

Davide Valsecchi

Suoni da un passato di seta

Suoni da un passato di seta

All’improvviso sembrava di essere nel passato, niente più India ma il vecchio cuore della seta comasca, la vecchia Ti.co.s.a. o la vecchia Oltolina.

Il direttore della fabbrica governativa per la produzione della seta ci ha accompagnato in una zona dismessa dell’impianto:“Qui teniamo ancora le vecchie macchine, alcune sono ancora perfettamente funzionanti”.

L’erba è alta fuori dall’edificio ed entrando ci troviamo davanti i vecchi telai che occupano la grande sala: la luce filtra dal soffitto tra la polvere che copre queste vecchie glorie abbandonate di cui ho solo sentito parlare, macchine prodigiose che avevano portato Como, ma anche la nostra Asso, a competere in tecnologia e qualità con il mondo.

Il direttore impartisce qualche ordine agli operai, danno corrente all’edificio e la macchine rumorosamente si animano. Trama e ordito in movimento mentre le navette schizzano da un lato all’altro del telaio. I nostri nonni conoscevano modelli e funzionamento, i nostri padri, allora bambini, le hanno viste lavorare incessantemente, risorsa per i lavoratori di intere valli. Io credo di essere uno dei pochi della mia generazione ad averne vista una in azione. Incredibile che con un simile passato sia dovuto venire fino in India per vedere qualcosa di simile.

Eccovi un piccolo filmato di questa meraviglia da museo ed alcune foto di come potevano apparire le nostre aziende poco più di una generazione fa.

Davide “Birillo” Valsecchi

Entrée Libre

Entrée Libre

entre_libreLa Comunità Montana del Triangolo Lariano ed il Comune di Asso organizzano:

“Un viaggio in musica – Itinerario nelle musiche del Mondo” – Lo spirito latino

Musiche di Granados, De Falla, Rodrigo, Piazzolla, Teodorakis, Rota con il gruppo musicale ENSEMBLE DUOMO, Roberto Porroni – chitarra, Luigi Arciuli – flauto, Silvia Pauselli – violino, Antonello Leofreddi – viola,  Marcella Schiavelli – Violoncello

Venerdi 26 Giugno 2009 ore 21.00 Salone Pio XI Oratorio, via delle Rimembranze 22033 Asso (Co)

I tessuti del Kashmir

I tessuti del Kashmir

I tessuti del Kashmir
I tessuti del Kashmir

Perchè ancora a Srinagar? Perchè il Kashmir è una terra ricca di tesori che ancora devono essere scoperti.

Sono di Asso e vengono da Como, la capitale italiana della seta. Uno è un fotografo e l’altro si spaccia per scrittore, se ne vanno in giro con una strana uniforme che li distingue da tutti gli altri stranieri ed entrambi sono in bella mostra sul principale quotidiano della città, il Greater Kashmir. Sono arrivati carichi di bandiere, alcune realizzate dai ragazzi del migliore istituo tessile del loro paese ed altre dagli storici telai dell’artista Gegia Bronzini grazie a PuntoComo.  Avevano già attirato l’attenzione a sufficienza ma da queste parti “quando la musica parte tocca ballare e tenere il ritmo” e così, di slancio, si sono spinti ben oltre.

Soldi in tasca ne abbiamo pochi ma a faccia tosta non temiamo rivali:  forse abbiamo esagerato, forse è stata complice la difficoltà linguistica o la presunzione di chi si mette in gioco, di chi cerca di comprendere, ma quando abbiamo lasciato intendere di essere anche due “mercanti italiani in cerca di tessuti pregiati e nuovi contatti” abbiamo scoperchiato il vaso di Pandora ed aperto le porte di un mondo incredibile che pochi stranieri hanno avuto la fortuna di vedere!!

Le voci corrono anche in una città grande come Srinagar e come per magia alla nostra guest-house sono arrivati i taxi e le shicare, le gondole locali, inviate dai più prestigiosi artigiani Kashmiri. Per due giorni siamo stati invitati nei più eccellenti e riservati laboratori dove vengono realizzate, seguendo il più rigoroso metodo tradizionale, le famose pashmine del kashmir. Siamo stati talmente bravi nell’essere “fraintesi” che abbiamo ricevuto anche l’invito ufficiale della più grossa industria governativa per la produzione della seta. Ci andiamo Lunedì, invitati a pranzo!

Ma quello di cui voglio raccontarvi è qualcosa di straordinario e che abbiamo avuto la fortuna di visitare solo grazie al nostro roccambolesco modo di esplorare questo mondo misterioso: una delle più prestigose “case” dove vengono prodotte a mano le migliori pashmine di tutta Srinagar, l’unica che abbia l’autorizzazione del governo per realizzare le copie dei pezzi da museo di oltre trecento anni fa.

La pashmina, per chi non la conoscesse, è una sottile e vellutata fibra tessile realizzata con la lana di cashmere, la famosa lana delle capre del Kashmire. Con lo stesso termine si indicano anche i magnifici scalli e le morbide stole realizzate con questa fibra. E’ qualcosa che grazie all’aiuto dei nostri amici abbiamo imparato ad apprezzare comprendendone le differenti qualità. Come novelli Marco Polo abbiamo avuto tra le mani tessuti meravigliosi e contrattato con i mercanti di questa moderna via della seta.

Dopo un ora a bordo di una specie di ape-car riadattata a taxi siamo arrivati, fuori città, alla destinazione più prestigiosa. Gli artigiani a cui abbiamo fatto visita realizzano pashmine finemente decorate a mano, milioni di “nodi” che danno vita a variopinti e complessi disegni. Nel loro laboratorio vi sono solo una decina di telai e per ogni “pezza” sono al lavoro due uomini. Decine di fili colorati arrotolati attorno a sottili bastoncini di legno che vengono utilizzati come un aghi nella trama del tessuto. Un processo meticoloso e difficile che mi ricordava quello lento e attento dei tappeti.

Per produrre una singola stola con questo processo è necessario oltre un anno e mezzo di lavoro e questo significa che il piccolo laboratorio, dove lavoravano oltre venti persone, riesce a realizzare in tre anni solo una ventina di pezzi. Il costo di queste magnifiche stoffe che riprendono i disegni tradizionali sono accessibili solo ai facoltosi Indiani del sud o agli stranieri se molto ricchi. Producono solo su ordinazione e per via del lunghissimo periodo di lavorazione gli unici tessuti presenti nel laboratorio erano quelli in produzione, aver avuto accesso al laboratorio era una concessione assolutamente straordinaria.Enzo si è letteralmente sbizzarito con la sua Polaroid!!

Il lago ed il tessile di Srinagar hanno molto in comune con la nostra Como ed è stato un grande onore poter essere da trammite tra questi due mondi così lontani.

Nei prossimi giorni siamo invitati a visitare sia la fabbrica della Seta che altri artigiani specializzati nel realizzare tappeti e nella lavorazione del legno, tutto rigorosamente a mano. Ieri abbiamo fatto visita, raggiungendolo in barca, il laboratorio di un artigiano specializzato in sedie intarsiate. Questo simpatico vecchietto dall’aria vispa ha estratto una lettera da una scrivania e me l’ ha mostrata tutto felice. Il figlio, un giovane elegante che era venuto a prenderci in shicara, sorriderva sormione alle sue spalle.Era un Fax su carta intestata del Governo Italiano che, in inglese, ringraziava il vecchietto per l’acquisto di otto sedie in legno da lui realizzate. Per par-condicio non vi dico di chi era la firma sul timbro ufficiale alla fine della pagina. Piccolo il mondo no? Questo solo per farvi capire l’enorme valore degli oggetti realizzati in questa zona dell’india ancora sconosciuta e spesso difficile.

Davide “Birillo” Valsecchi

Leh-Srinagar Road: secondo round!!

Leh-Srinagar Road: secondo round!!

Leh-Srinagar Road

Se i ragazzi della Farnesina vi dicono “state alla larga da quella strada” hanno i loro buoni motivi, tutti lì da vedere in ogni dannata curva che collega Leh a Srinagar!! Questa è la seconda volta che percorriamo questa strada, il racconto del primo viaggio è in questo vecchio articolo. Avevo scritto bello chiaro che si dovrebbe evitare tale percorso ma qualche giorno fa la strada che collega Leh con Manali è stata nuovamente bloccata, interrotta da una grossa frana che è costata la vita ad un paio di persone in transito. I prezzi per un biglietto aereo sono letteralmente triplicati nel giro di quindici giorni, così ci siamo detti:”Perchè no? Facciamoci un secondo round con quella strada maledetta!!”.

Due mesi fa i passi erano stati appena aperti e c’erano muraglioni di neve alti oltre tre metri, noi viaggiavamo di notte a bordo di una Jeep shared-taxi che faceva la spola tra le due città. In totale eravamo in otto, schiacciati come sardine avevo gente che mi dormiva addosso da entrambi i lati mentre i fari nella notte illuminavano le curve sul barato e le montagne innevate. Gli autisti, che si davano il cambio ogni due ore, correvano il più in fretta possibile per poter arrivare a Srinagar in tempo per organizzare una corsa di ritorno il mattino stesso. Quattordici ore di strada sterrata e neve vissuti pericolosamente troppo in fretta!!

Questo giro pensavo di essermi fatto furbo: jeep privata ed autista consigliato dal nostro amico AK, partenza la mattina presto per poter godere di tutta la luce della giornata. Credevo potesse bastare, ma mi sono clamorosamente sbagliato ed il secondo round è stato ancora più duro e massacrante del primo: questo giro ho avuto realmente paura di chiudere la partita e salutare la folla!!

Andiamo con ordine però, le prime dieci ore di viaggio sono state in verità molto piacevoli: la strada è quello che è, per lo più sterrata e a strapiombo, ma alla luce del sole fa molto meno impressione ed il panorama è talmente meraviglioso da rendere trascurabile ogni difficoltà. Lo scenario cambia in continuazione mostrando una natura magnifica e sempre diversa. Bene, ora dimenticatevi quello che vi ho appena detto sul panorama: quella strada è semplicemente da evitare!!!

Pensavo di avercela fatta, mancavano poco meno di 45km sui 530 da percorrere, solo un passo e poi via, strada liscia fino a Srinagar. L’altra volta questo passo, illuminato solo dai fari e dalla luna piena mi era piaciuto tantissimo: la strada era letteralmente scavata nella neve e costeggiata per lo più a muraglioni bianchi altri oltre tre metri. La salita stava andando bene, qualche difficoltà quà e là per dei buchi troppo grossi nella strada ma nulla di preoccupante. Aveva cominciato a grandinare ma neppure questo sembrava un grosso problema. Arrivati in cima sembrava fatta, si doveva solo scendere.

Quando hai 12 ore di jeep nelle ossa speri soltanto che l’ultima ora fili lisci ma a quanto pare la strada voleva la sua rivincita prima del gong. Erano ormai le otto e la grandine si era trasformata in pioggia battente ed il cielo ormai era buio, di nuovo notte, di nuovo fari. Scendendo ricordavo quel passaggio, uno di quelli esposti proprio prima di una curva cieca. La strada è totalmente sterrata ed è a strapiombo su un baratro di oltre 200 metri, non c’è appello o speranza se si sbaglia. Larga poco più di una corsia non permette a due veicoli di restare affiancati e non mi arrischierei a piedi su quei bordi, figurarsi in macchina.

E’ in quel momento che un pensiero mi sfiora: “Chissà che casino se dovessimo incontrare ora un camion che sale”. Nella vita basta chiedere alle volte. Dalla curva spunta uno di quei variopinti bisonti meccanici, sale sbuffando e dando di abbaglianti perchè non ha intenzione di dare strada. Il nostro autista è un montagnino e non sembra intenzionato a discutere se non con il clacson. Questi due imbecilli semplicemente si puntano come se lasciare spazio precipitando nella scarpata fosse un’opzione percorribile!!! Io ero seduto davanti ed essendo la guida inglese a sinistra ero sul lato che dava sul bordo. Sentire i freni bloccare le ruote e sentire la jeep scivolare sulla ghiaia in cerca di uno spazio nel lato esposto della strada è qualcosa che ricorderò a lungo. Il sangue ha abbandonato le gambe che disperatamente cercavano di opporsi al barato: bloccato nel mio sedile potevo solo sperare che tutto si fermasse prima che la strada finisse!!

Dio ci ha messo una pezza e ci siamo fermati, incastrati a mezza curva tra il camion ed il bordo. L’autista ha dato un bacio al suo anello, il suo portafortuna, e ha cominciato ad insultare l’autista del camion, anch’esso bloccato a mezza curva. I due hanno cominciato a discutere su chi dovesse spostarsi e dare strada mentre un altro camion si accodava al primo. Io sarei sceso volentieri da quella dannata jeep se ci fosse stato abbastanza terreno su cui appoggiare i piedi aprendo la portiera!!

Retromarcia nel fango, lasciamo passare una decina di camion e finalmente riusciamo a passare la curva. Lo spettacolo dall’altra parte è terrificante: tutta la strada a salire del passo è illuminata da una fila infinita di camion. In una strada a strapiombo e ad una sola corsia significa un maledetto incubo vissuto sul bordo di un barato!! Eravamo così vicino alla fine!!

La situazione era questa: la strada è in terra battuta ed è grande una corsia, quei bisonti di camion sono dei vecchi rottami agghindati come carnevale che stracarichi danno fondo a tutte le loro ridotte per salire lungo il passo. Hanno i peggiori pneumatici ricostruiti del pianeta ed affrontano uno dei terreni più difficili per simili pachidermi. L’unica possibilità per scendere, tralasciando la piombata diretta dalla scarpata, era riuscire a spostarsi lungo il bordo da uno spiazzo all’altro fermando i camion e lasciandoli passare un po’ alla volta.

Significa che ogni dieci o quindici metri ci si doveva fermare e discutere con una colonna di autisti e ad ogni fermata gli aiuto-autista dei camion dovevano bloccare con i cunei o con i sassi per aiutare qui bestioni a ripartire in salita. Si caricavano dando gas al massimo e poi dentro le marce sperando che non slittasse troppo e riuscisse a mettersi lentamente in moto lungo la salita. Quasi trecento camion significano una montagna di soste per percorre i quindici chilometri che restavano per uscire dal passo.

La pioggia non accennava a smettere creando un nuovo problema: all’improvviso tutti i camion hanno cominciato a dare fondo ai loro clacson e si sono messi a sgasare come una mandria impazzita mentre gli autisti urlavano ed imprecavano senza che nessuno potesse realmente muoversi: “Vengono giù i sassi!!” . Non si va nè avanti nè indietro, siamo bloccati lassù e la montagna comincia a scrollarsi sotto la pioggia: eravamo quasi arrivati, maledetta strada questo giro hai intenzione di farmi paura per davvero!!

Io non parlo la lingua dei camionisti e posso solo capire quello che mi traduce l’autista ed ormai è più il tempo che passiamo fermi a discutere sotto la pioggia di quello a bordo della jeep. Ero rassegnato, questo giro o finivano giù per la scarpata o ci diventavo vecchio su quella strada. Poi forse il cielo ha avuto pietà di me ed ha inviato il più improbabile dei soccorsi in mio aiuto: una croce-rossa!!

Una sgangherata ambulanza con una strozzata sirena ed un pallido lampeggiante blue si fa strada piano piano tra i camion scendendo dal passo.Ci raggiunge e ci sorpassa arrampicandosi sul bordo opposto della corsia fermandosi ed inevitabilmente nella strettoia che tieni bloccati. Dal mezzo scende un militare ed il marito della donna che viene trasportata. Il nostro autista parla un po’ con loro mentre il militare si avvia a piedi impartendo ordini a tutti i camionisti fermi lungo la strada.

Dopo anni di servizio ad insultare chi si piazza all’inseguimento delle ambulanze del 118 mi toccava farmi strada seguendo la croce rossa!! Il militare coordina i camion ed avanziamo sempre solo di una ventina di metri al colpo ma finalmente avanziamo con un po’ di metodo sebbene sempre sul bordo del precipizio. Sassi che vengono a basso nella poggia, camion che non ripartono, qualcuno ha persino bucato e nella notte si sentono solo i clacson e gli strilli degli autisti che discutono e litigano. Welcome in Wild India!!

Quindici chilometri di passo in cinque ore!!! Siamo partiti da Leh alle otto e mezza dopo una magnifica colazione in una giornata di sole, siamo arrivati a Srinagar a mezza notte sotto la pioggia, distrutti. Lo spettacolo che offre quella strada è magnifico ma ha vinto anche il secondo round ed ho veramente paura che se mi azzardo ancora a sfidarla mi metterà KO una volta per tutte. Come dice la Farnesina: “state alla larga da quella strada!!” e non accusatemi poi di non avervelo detto!!

Davide “Birillo” Valsecchi

Il Leone e la Montagna

Il Leone e la Montagna

Heian Shodan
Heian Shodan

Sono nato Leone ascendente Leone nell’anno del Drago: già di per sè questo vuol dire guai! Per un sacco di tempo sono stato una mina vagante, in perenne conflitto tra il “selvatico” che è in me e la “persona” che vorrei essere. Poi ho imparto ad incanalare tutta quest’energia in qualcosa di costruttivo che potesse darmi anche soddisfazone e serenità, ovviamente alla mia maniera!! “Quando l’alievo è pronto ad imparare il maestro si manifesta”, ed è così che il destino ha deciso di correre ai ripari!!

Questa manifestazione che è apparsa quando ne avevo bisogno si chiama Dario ed è il mio Maestro di Karate-do, il “capo branco” di una scapestrata banda di curiosi personaggi che per lungo tempo è stata per me come una seconda famiglia: “Shiroi Shishi Kan”, la Grande Scuola del Leone Bianco fondata dal Maestro Roberto Vedovati.

Come fece Dario ad insegnarmi a vivere un po’ più serenamente azzittendo il mio orgoglio? Semplice, mi spedì 5 anni ad insegnare karatè ad una ventina di bambini tra gli 5 ed 12 anni. Maestro Birillo e la sua straordinaria compagine di bambini. Un’esperienza eccezionale, posso dire di avere imparato moltissimo da quei “nanetti”. Ora hanno tra i 18 ed i 22 anni ed è un grande piacere vedere come sono cresciuti diventando ottime persone.

Il primo Katà che si insegna a chi comincia Karatè-do si chiama Heian Shodan, il primo Katà della Pace. E’ una forma che ho ripetuto, spiegato e mostrato migliaia di volte. Conosco anche molte altre forme e katà superiori al primo ma per quanto mi riguarda potrei passare la mia vita a studiarlo scoprendo sempre qualcosa di nuovo. Okey Birillo ma cos’è un Katà? E’ una serie ben precisa di tecniche eseguite con un ben preciso ritmo ed un schema predefinito. Respiro, movimento e forma. Per me è quasi una danza o una preghiera. Quando non mi sento bene o sono turbato Heian Shodan è il mio rifugio, qualcosa che ormai appartiene al mio corpo ed in cui la mente si abbandona completamente.

Quando eseguo il primo Katà mi libero di tutte le maschere e metto a nudo tutta la mia natura. Mi libero da ogni vincolo ed in ogni tecnica riscopro me stesso apprezzando tutte quelle qualità che spesso trattengo. Apprezzo la mia volontà e le mie capacità dando loro pieno e furioso sfogo senza rimanere intrappolato nei sensi di colpa o nelle trappole dell’orgoglio. Al termine del mio Katà sò di essere una buona persona, sò quali siano in questo mondo le mie cruente potenzialità ed ho la serenità di poterle controllare per realizzare qualcosa di buono. Poi torno ad essere il “Birillo” di sempre!!

Al Campo Base dello Stok Kangri, a 4800 metri in mezzo alla neve e le montagne dell’Himalaya, ho voluto dedicare il mio primo Katà ai quei bambini che mi hanno insegnato tanto e che ora, quasi adulti, hanno dato vita nel paese di Brugherio ad una nuova piccola famiglia: “Shishi no Nirami”, Lo Sguardo del Leone. E’ nello sguardo che si nasconde la magia dell’uomo e la sua capacità di guardare al futuro. Quei ragazzi l’hanno capito impegnandosi ad insegnare ad altri bambini perchè è in loro che è racchiusa la nostra speranza per il futuro.

E’ stato un gran piacere per me eseguire il primo Katà in un luogo come quello e, come per magia, ha smesso di nevicare dopo tre giorni di cattivo tempo. Nel 1999, al Campo Base di Cima-Asso, al termine del mio Eian Sho Dan smise di piovere dopo cinque giorni di monsone. Io non credo nelle coincidenze ed ho un magnifico e fiero Heian Shodan da eseguire sotto lo sguardo attento del Cielo. Forse dopo la mia esibizione lo Stok Kangri ha voluto divertirsi misurando la mia resistenza ed ha schiarito il cielo invitandomi a salire. Poi ci è andato pesante!!!

(Ndr. Sono state le uniche 18 ore di bel tempo sullo Stok Kangri in 3 settimane. Credo che qualcuno se la riderà sotto i baffi come al solito!!)

Ciao Brugherio, se mi riesce ad Ottobre vedo di organizzare qualcosa per portarvi nella nostra Vallassina a mangiare le castagne e a fare qualche katà all’aperto tra un bicchiere di vino, una salamella e qualche nuovo amico!!

Davide “Birillo” Valsecchi

Fratelli d’Italia!!

Fratelli d’Italia!!

Mameli dalta quota!!
Mameli d'alta quota!!

Siamo atterrati qui un mese e mezzo fa. Abbiamo toccato terra a 3500 metri e siamo saliti fino  a 4500, poi 4900 poi più sù fino a 5100 e 5200. Di slancio ci siamo fiondati fino a 5500 e quasi strisciando siamo arrivati a 6130 metri. Insomma è da un bel pezzo che diamo i numeri!!

Oggi, sistemando i bagagli prima di lasciare Leh alla volta del sud dell’India, ho ritrovato tra le varie registrazioni realizzate con il recorder Edirol anche un file molto curioso!!

Era una mattina di qualche settimana fa, io ed Enzo arrancavamo sul fianco di una montagna per raggiungere il passo a 4900 metri. Eravamo stanchi e con il fiato corto perchè quella dannata salita non ne voleva sapere di finire. Avevo il registratore in tasca ed erano le otto del mattino, non so perchè ci sia venuto in mente ma senza fiato abbiamo cominciato a cantare l’Inno Nazionale.

Come gli Azzurri di Rugby abbiamo provato ad avanzare cantando ma è stata durissima!! Spero che nessuno si offenda, non è nostra intenzione mancare di rispetto all’inno,anzi!! Il risultato è molto divertente e ci piace pensare di aver portato il “nostro mameli”  il più in alto possibile!!

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