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Ich bin ein Berliner!

Ich bin ein Berliner!

Il muro di Berlino in costruzione
Il muro di Berlino in costruzione

In fondo non mi aspettavo di trovarlo ma nella mia mente quel quadro c’era. In una mostra d’arte per il 20° anno della caduta del muro di Berlino un quadro simile avrebbe dovuto esserci.

Perchè in fondo quando è caduto il muro, più che altro per noia, non successo nulla di speciale, nulla di nuovo. Onestamente vi sembra che dopo quel giorno sia sbocciata la pace? Io credo di no e forse quel muro era una bugia più garbata di quelle che ci hanno raccontato dopo.

Quel muro ci stava bene, era bello visibile a tutti. Grande e mastodontico aveva le sue fondamenta sul cuore marcio della germania nazista, sepelliva e divideva il male nero che le due grandi metà, ora in lotta, avevano sconfitto. Non era questa la teoria iniziale?

Quel muro ti faceva capire subito dove stava il confine ed una scelta di parte dovevi per forza farla o, se vuoi, subirla. Guardati in torno ora, ora che il muro sta a terra, cosa vedi? Io vedo solo altri muri, muri nuovi o costruiti con materiale di recupero. Il mondo sembrava un elegante campo da tennis mentre ora, che appare più come un labirinto, non c’e’ nessuno per cui tifare ed ognuno si limita a cercare come può un’uscita per conto proprio.

Ieri tutti a commemorare, a compiangere le vittime del muro, quelle anime eroiche che spinte della disperazione trovavano la morte superando la barriera tra i due mondi. Il solito abbuffarsi di carogne degli sciacalli. Sembrava di stare sul Gange a guardare i cani mangiare i cadaveri che nessuno ha voluto sepellire.

No, il mio quadro non c’era. Come avrei voluto vederlo, vedere il demonio in forma di uomo, infagottato in un cappotto lungo, che passeggia sopra la sommità del muro, sereno e quasi compiaciuto. Di spalle, lungo quella linea tra due mondi, con in mano una COLT M1911 nella destra ed una TOKAREV TT-33 nella sinistra. Perchè il muro in fondo era uno spazio a se’ stante ed in quello spazio ideale danzavano demoni ed uomini fuori dal comune, uomini che si spingono al di là degli schieramenti e che superano il limite. Chissà dove sono ora quei demonii? Chissà che fine ha fatto John Running?

Anche Santambrogio aveva in esposizione un suo pezzo nella kermesse milanese che ieri aveva invaso la città. Un pezzo acuto e delicato come spesso il “Buon Pirata” realizza. L’ennesima conferma che tra noi due, anche se non si direbbe, è irrimediabilmente lui “il buono“.

Questa volta ha realizzato un mattone in cemento. A guardarlo in effetti non sembra nulla di più di un mattone, un semplice mattone. In realtà, se andiamo a studiare la lastra ai raggi X che Enzo ha fatto realizzare, si scopre che in quel mattone sono stati immersi durante la colata un martello ed uno scalpello incrociati. Cosa significa? Semplice: La libertà è dentro. Gli strumenti per abbattere il muro sono sempre stati nel muro stesso. E’ nel limite, è in noi, che possiamo trovare quello che ci serve per superalo, per spingerci oltre.

La mia cinica logica zen si scontra con il suo animo romantico e, come sempre, ne resta stupita. Bravo Enzo!

John Fitzgerald Kennedy, in visita a Berlino nel ’63, ebbe a dire in un famoso discorso: « Ci sono molte persone al mondo che non comprendono, o non sanno, quale sia il grande problema tra il mondo libero e il mondo comunista. Fateli venire a Berlino! Ci sono alcuni che dicono che il comunismo è l’onda del futuro. Fateli venire a Berlino! Ci sono alcuni che dicono che, in Europa e da altre parti, possiamo lavorare con i comunisti. Fateli venire a Berlino! E ci sono anche quei pochi che dicono che è vero che il comunismo è un sistema maligno, ma ci permette di fare progressi economici. Lasst sie nach Berlin kommen! Fateli venire a Berlino! Tutti gli uomini liberi, ovunque essi vivano, sono cittadini di Berlino, e quindi, come uomo libero, sono orgoglioso di dire: Ich bin ein Berliner! (sono un Berlinese). »

Mi spiace che ti abbiano sparato John, ma non sarò mai un berlinese, finchè ne avrò l’opportunità sarò uno di quelli che passeggiano sul muro. Sex Pistols – Holiday in the Sun

Davide “Birillo” Valsecchi

Robert Kennedy, discorso del 18 marzo 1968

Robert Kennedy, discorso del 18 marzo 1968

Robert Kennedy
Robert Kennedy

“Non troveremo mai un fine per la nazione né una nostra personale soddisfazione nel mero perseguimento del benessere economico, nell’ammassare senza fine beni terreni.

Non possiamo misurare lo spirito nazionale sulla base dell’indice Dow-Jones, né i successi del paese sulla base del prodotto nazionale lordo (PIL).

Il PIL comprende anche l’inquinamento dell’aria e la pubblicità delle sigarette, e le ambulanze per sgombrare le nostre autostrade dalle carneficine dei fine-settimana.

Il PIL mette nel conto le serrature speciali per le nostre porte di casa, e le prigioni per coloro che cercano di forzarle. Comprende programmi televisivi che valorizzano la violenza per vendere prodotti violenti ai nostri bambini. Cresce con la produzione di napalm, missili e testate nucleari, comprende anche la ricerca per migliorare la disseminazione della peste bubbonica, si accresce con gli equipaggiamenti che la polizia usa per sedare le rivolte, e non fa che aumentare quando sulle loro ceneri si ricostruiscono i bassifondi popolari.

Il PIL non tiene conto della salute delle nostre famiglie, della qualità della loro educazione o della gioia dei loro momenti di svago. Non comprende la bellezza della nostra poesia o la solidità dei valori familiari, l’intelligenza del nostro dibattere o l’onestà dei nostri pubblici dipendenti.

Non tiene conto né della giustizia nei nostri tribunali, né dell’equità nei rapporti fra di noi. Il Pil non misura né la nostra arguzia né il nostro coraggio, né la nostra saggezza né la nostra conoscenza, né la nostra compassione né la devozione al nostro paese.

Misura tutto, in breve, eccetto ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta. Può dirci tutto sull’America, ma non se possiamo essere orgogliosi di essere Americani.”

Quello che avete letto non è il pensiero di qualche no global, di un teorico della decrescita felice, di un seguace dei verdi o di qualche dannato “rasta-panda” che vuole annoiare con le sue strampalate teorie. Sono le parole che pronunciò Robert Kennedy tre mesi prima di essere ucciso. Nel 1968, oltre quarant’anni fa.

Davide “Birillo” Valsecchi

Achille Ratti, Alpinista, Papa ed Assese

Achille Ratti, Alpinista, Papa ed Assese

Achile Ratti in Montagna (al centro)
Achile Ratti in Montagna (al centro)

Mettiamo subito le carte in tavola: il 31 luglio 1889, all’età di 32 anni, sale il Monte Rosa sul lato orientale,  mentre il 7 agosto dello stesso anno sale il Monte Cervino.  A fine luglio 1890 scala il Monte Bianco, aprendo la via successivamente chiamata “Via Ratti – Grasselli”.

Questo è il non trascurabile curriculum alpinistico di colui che all’età di  65 anni divenne il 259° vescovo di Roma e Papa della Chiesa Cattolica: Achille Ratti, Pio XI.

Prima di diventare Papa fu collaboratore con il Club Alpino Italiano ed ebbe a dire dell’alpinismo : “non fosse cosa da scavezzacolli, ma al contrario tutto e solo questione di prudenza, e di un po’ di coraggio, di forza e di costanza, di sentimento della natura e delle sue più riposte bellezze

Achille era fortemente legato ad un suo zio, tale Damiano Ratti Prevosto di Asso dal 1860 al 1891, dal cui esempio trasse ispirazione per percorrere la carriera ecclesiastica. Potete capire perchè il futuro Papa, nato nel 1857, era così legato alla nostra Asso e vi trascorse gran parte delle sue vacanze d’infanzia.

Il legame con la nostra piccola Asso è sancito anche dalla stele di marmo che adorna l’ingresso della nostra chiesa e che recita:

“Il borgo di Asso è quasi nostra patria adottiva e il suo nome suscita nell’animo nostro dolci memorie ivi infatti fu proposto parroco un nostro zio paterno e l’attuale proposto parroco ci è pure congiunto per parentela. Ivi nella nostra fanciullezza e nostra adolescenza e ne primi tempi in cui fummo iniziati al Sacerdozio vi soggiornammo tutti gli anni nei mesi Estivi per ragioni di villeggiatura ed ivi altresì esercitammo il Sacro Ministerio sotto la disciplina del nostro Zio Paterno e ne facemmo talora le veci. E’ quindi cosa a Noi grata ora elevati per volere di Dio al Supremo Governo della Chiesa accordare ai Proposti Parroci di quel Borgo un pegno perenne del nostro memore animo.Così stando le cose colla Nostra Apostolica Autorità con effetto immediato e duraturo in perpetuo concediamo ai Propositi Parroci pro tempore nel borgo di Asso il titolo di “Monsignore” aggiungendovi l”uso delle vesti prelatizie di cui usano i Nostri Domestici Prelati. Dato in Roma presso San Pietro sotto l’Anello del Pescatore il giorno 21 del mese di Luglio dell’anno 1922 primo del nostro Pontificato.”

Il Papa Alpinista, a soli sei mesi dalla sua proclamazione, assegnò alla nostra cittadina un riconoscimento perpetuo ed elevò i nostri parroci al rango di “Monsignore” accordandogli lo stesso “grado” dei Prelati Vaticani.

Non so se si possa definire Achille un Assese ma se sulla Pietra che lui ha fatto affiggere sul Sagrato della nostra Chiesa vi è scritto “nostra patria adottiva” ed il tutto è controfirmato niente meno che con l’Anello del Pescatore credo ci sia abbastanza su cui riflettere!!!

E’ incredibile, la nostra torre è la prova che l’Imperatore Barbarossa dovette desistere dal sottomettere Asso con la forza  mentre quella stele mostra l’affetto di un Papa per il nostro borgo. Questo paese, che appare addorementato e dimentico delle figure eccellenti che ne hanno animato il passato, può vantarsi di essersi confrontato a testa alta con Imperatori e Papi!!

Questa è Asso e chiunque, assese o no, intenda parlare male della nostra “Casa” dovrà fare i conti con tutta la nostra storia, con tutto il nostro orgoglio e, in ultima istanza, con i miei scarponi.

Questo Giovedì, 22 ottobre 2009, presso la chiesetta piccolo adi Asso alle 20:45, vi sarà la presentazione del libro Achille Ratti. Il prete alpinista che diventò papa di Ronzoni Domenico.

Davide “Birillo” Valsecchi

Gino il Murnee: l’ultimo mugnaio di Asso

Gino il Murnee: l’ultimo mugnaio di Asso

La macina numero 2
La macina numero 2

La prima volta che sono entrato nel Mulino Mauri ero poco più che bambino ed ero con il Cai Asso. Era quasi una tradizione per la nostra sezione fare visita  al Signor Luigi Mauri, meglio conosciuto come Gino il Murnee.

Con infinita pazienza, e grande orgoglio, spiegava a noi bambini quella strana macchina fatta di pale, macine e setacci che è il mulino idraulico.

Era cosi orgoglioso di quel suo mestiere orami andato nel tempo ed il suo Mulino era l’unico ancora funzionante di tutta la valle del Lambro.

Il signor Gino, classe 1917, si è spento questa notte all’età di 92 anni. Con lui scompare l’ultimo nei mugnai di Asso, un piccolo pezzo di storia.

Per osservare le sue volontà Lunedì alle 14 sarà portato a spalla dal suo mulino fino alla nostra chiesa ed attraverserà per l’ultima volta il piccolo ponte che tanti visitatori hanno ammirato in questi anni.

La nostra tv locale, Televallassina, trametterà oggi e nei prossimi giorni un piccolo filmato fatto con spezzoni di repertorio dove Gino, l’ultimo murnee di Asso, raccontava i segreti del suo mulino e della campanella che suonava nella macina avvisandolo quando il sacco era ormai vuoto.

Grazie Signor Gino per aver conservato la memoria tanto a lungo.

«Il mestiere del mugnaio era tramandato di padre in figlio ed  ognuno aveva i suoi segreti per la macinatura dei cereali, sopratutto il mais perchè  il frumento era roba da ricchi. Famiglie intere affidavano il loro mais al mugnaio e per questo era molto importante sopratuttuto la sua onesta e la sua bravura. Pochi mulini erano provvisti di aburatto, o buratto, uno speciale setaccio per separare la farina dalla crusca facilitando la preparazione del pane. Alcuni scontavano il prezzo che da pagare al mugnaio per la macinatura lasciandogli il “bozzolo”, una parte della farina, ma pagando sempre lo “spolvero”, la parte della farina che andava perduta nella lavorazione. Il lavoro del mugnaio nell’arco dell’anno cambiava: d’inverno lavorava molto, ma d’estate spesso era costretto ad interrompere il suo lavoro per mesi a causa della mancanza di acqua. Per tutto l’800 ed gli inizii del  900 il mugnaio era un mestiere ambito ma poi, per via delle tasse sulla macina e della corrente elettrica, i mulini idraulici andarono scomparendo e cosi anche la fugura del mugnaio»

Davide “Birillo” Valsecchi

Accadde Oggi

Accadde Oggi

Avevo preparato un pezzo da pubblicare oggi, riguardava la volontà. Poi, un po’ annoiato, mi sono messo a cercare su Internet. Ero  a caccia di qualcosa da scoprire ed è stato così che mi sono accorto quale giorno fosse. A volte su questo sito compaiono cose allegre, altre volte sono le nostre piccole avventure o pezzi di racconti che raccolgo qua e là dai posti più improbabili. Altre volte invece racconto storie tristi, ricordi del passato. Alcune volte ci sono storie che vorrei raccontare, ricorrenze importanti che però cadono in giorni strani o complessi.

Ad esempio la bomba di Nagasaki, il 6 Agosto 1945, uno degli avvenimenti che maggiormente mi colpiscono e mi stordiscono. Ho scritto un sacco di pensieri, di riflessioni su quel giorno che non ho mai pubblicato. Perchè? Perchè il 5 Agosto è il mio compleanno, è l’anniversario di Cima-Asso, è Estate e nessuno vuole essere annoiato dal passato. Così scivolo sopra, lascio passare in silenzio macchiandomi del più grave dei peccati: voltare la faccia.

Oggi è il 9 Ottobre, nel 1963 in una notte sola, in meno di un ora, morirono oltre 1900 persone. Un 11 Settembre tutto Italiano: il Vajont. Chi ha ucciso tutte queste persone? Terroristi, criminali? No. Ci sono politici, industriali, ingeneri ed architetti: tutti loro indicano la montagna e spergiurano che sia stata lei ad uccidere. Ma posso parlare oggi del Vajont? Dopo i fatti di Messina ed il recente terremoto in Abruzzo? Posso annoiarvi con il passato di fronte ad una tragedia fresca, ancora viva e vibrante attraverso gli schermi della Tv?

Troppa tragedia ed ipocrisia, troppo orrore e spettacolo. Sembrerei un folle poi se ricordassi i 53 morti e le migliaia di sfollati che funestarono l’opulenta Valtellina quando nel 1987 il monte Coppetto crollò. Eppure accadde tutto in diretta anche allora, nei mie ricordi da bambino c’è ancora quella piccola ruspa gialla che si oppone a quella montagna che crolla.

Questo è l’articolo che scrissi l’anno scorso, 9 Ottobre 1963: VAJONT. Se chiudo gli occhi provo ad immaginare la terrificante onda che si abbettè su Longarone restandone sbigottito. Possano quelle 1900 anime perdonarmi per non aver dato loro la giustizia del ricordo, possano quelle 53 persone perdonare il paese che le ha dimenticate.

Il 9 Ottobre del 1967, 4 anni dopo il disastro Vajont muore una delle figure chiave che nel 1962, un anno prima dell’onda dal monte Toc, aveva trascinato, con la complicità del suo assassino e dei suoi oppositori, il pianeta intero sull’orlo della distruzione totale nella Crisi dei Missili di Cuba: Ernesto “Che” Guevara.

Non ho mai ammirato la figura del “Che”, forse posso apprezzarne alcuni tratti, alcuni aspetti ma di fatto restiamo brutalmente simili e per questo non posso che vederne le ipocrisie e le colpe. Il socialismo, la rivoluzione, ho persino letto il suo libro “La guerra di guerriglia” senza però cambiare la mia opinione. Era l’alba della propaganda e lui ne era uno dei primi eroi, tanto abile e capace nel mandare la gente al massacro da oscurare il suo stesso mentore e comandate. Una figura tanto leggendaria da richiedere un tributo di sangue. Provo maggior pena per Castro, che passerà alla storia come il Giuda di questo Cristo socialista, che sarà il vecchio comunista sconfitto ed immortalato con la tuta da ginnastica dell’Adidas al culmine della propria ipocrisia.

Ma posso oggi parlarvi di questo? Posso parlare di un “eroe” comunista mentre la nostra confusa politica nostrana si agita in scontri di potere che nulla hanno a che fare con l’ideologia? In una politica protesa a strattonare la corta coperta del potere sdegnandosi di vedere come il paese resti con i piedi scoperti? No, non posso, e non posso nemmeno raccontare di come siamo andati vicino alla fine. Non posso raccontarvi di quanto importate sarebbe riflettere sulla lezione che il mondo ricevette il 27 Ottobre 1862. Non posso raccontarvi che mentre Guevara si beatificava di portare la libertà nel mondo trascinandoci al massacro solo Vasili Alexandrovich Arkhipov, ufficiale del sottomarino atomico russo K-19, scongiurò l’inizio della guerra atomica rifiutandosi di confermare il lancio di una testata nucleare mentre era sotto attacco dalla nave battaglia americana USS Randolph e dalla flotta di quarantena che cingeva Cuba.

Ma la storia è il passato, un vecchio brontolone poco chic, qualcuno che non si invita alle feste. La storia sussura e non urla sguaiata come fanno oggi i politici ed i nuovi intellettuali in Tv, ecco perchè i giornali non trovano uno spazio per lei. Fortunatamente, ogni tanto, qualcuno ce lo ricorda che, in fondo, “la storia siamo noi” perchè un paese che non ricorda il proprio passato è un paese senza futuro…

Davide “Birillo” Valsecchi

Asso e la Legge della Vallassina

Asso e la Legge della Vallassina

La Vallassina
La Vallassina

«La Vallassina nulla ha di comune colla città di Milano quanto ai pesi, né in essa possono esercitar giurisdizione il vicario e i dodici di provisione,  nemmeno negli affari d’annona (Ndr- approvvigionamento alimentare delle città): perché ivi non hanno fona di legge gli stessi proclami degli eccellentissimi governatori, pubblicati in Milano, qualora non siano pubblicati specialmente in Vallassina . E’  fin diritto di sangue aveva il podestà, come indicano gli statuti: abbrugiando chi facesse moneta falsa, decapitando il violatore di donna, tagliando la mano ai falsi testimoni. Haac sunt stallila et ordinamento Communis et hominuiu Vallis Vallassinae, facta el compilala ad honorem SS. Jo. Baptist et Evangelista.»

Che la gente delle mia valle fosse dura, specie di comprendonio, l’avevo capito da un pezzo, quello che mi stupisce è scoprire con quanto orgoglio e determinazione ribadivano la propria indipendenza giuridica e politica in questo piccolo pezzo di terra affacciato tra i due rami del Lago di Como.

Questi brani appartengono a Storie Minori, uno dei volumi scritti da Cesare Cantù e pubblicati nel 1864. Dove li ho trovati? Facile a dirsi, tutto il testo è pubblicato integralmente e gratuitamente su GoogleBooks, la più grande biblioteca digitale del mondo. Sapete chi si è preoccupato di fornire, digitalizzare e tradurre  l’originale? Niente meno che la prestigiosa Università di Harvard. A conferma che il mondo prova uno spasmodico interesse per una terra che gli “indigeni moderni” bistrattano come infelice e morente dando valida prova della propria ignoranza. Non temente, se siete su queste pagine probabilmente non siete tra gli stupidi che, arricchitosi con la cementificazione della valle, ora piangono a lutto per il territorio con lacrime di coccodrillo.

Quello che ho trovato la dice lunga sul carattere di Vallassinesi: «Moltissie pene sono pecuniarie anche per offese personali, come una ferita a sangue lire 25, il doppio se con arma proibita ; lire 20 se a mano nuda ; lire 6 se senz’armi né sangue : lire 3 a chi prende uno pei capelli : lire 4 a chi gli getta in terra il berretto e il cappello. Libere la delazione dell’armi e la caccia, esenzione conservata fin alla legge di Carlo VI nel 1714, col pretesto dei lupi che infestavan la valle.»

Dal clilindro della storia saltano fuori nomi illustri inspettati : «Il Marchese Giovan Pietro Locatelli di Asso, custode dell’Arcadia e del Museo Capitolino in Roma, valente letterato e conoscitore d’antichità, fu incaricato da Benedetto XIV d’aumentare il Museo Clementino.(1745)»

Per chi non lo sapesse l’Accademia dell’Arcadia è un’accademia letteraria fondata a Roma il 1690 mentre il Museo Capitolino è il museo pubblico più antico del mondo, fondato nel 1471 da Sisto IV con la donazione al popolo romano dei grandi bronzi lateranensi. Mentre il Museo Clementino è uno dei musei Vaticani e, per intenderci, quello che ospita la famosissima statua del Laoconte del 40 A.c. Mica male pensare che uno di Asso sia stato chiamato a gestire alcuni tra i principali fulcri della cultura mondiale. E’ tuttavia inquitante pensare alla quantità di stupidi che affolla oggi giorno il paese di Asso, opprimente il loro continuo lamentarsi di questa incredibile Asso: «Stupidi, ignoranti e beceri, smettetela di lamentarvi come oche. Rimboccatevi le mani oppure emigrate!!»  (…opps, forse troppo brutalmente diretto!!)

Ma lo spirito della gente di Vallassina è questo: un po’ indomito, un pò sanguigno. Sempre in questo libro ritroviamo le mitiche contese tra i paesi di cui avevamo già parlato negli articoli Amori e sassate nella vecchia Valassina e Storie di zuffe tra i Valassinesi, articoli di questo sito che furono anche ripresi e citati da La Provincia Di Como: «Anche tra Sormano e Valbrona frequentavano sfide e mischie. Una notte d’inverno i Valbronesi mossero a saccheggiar le case di Sormano, mentre appunto gli uomini erano venuti per lo stesso fine sopra Valbrona, per strade insolite. Carichi di bottino gli uni e gli altri tornavano, quando scontraronsi là dove ora è un tabernacoletto della SS. Trinità. Fatto alto, deposte le spoglie, accingeansi al sangue, allorché un vecchio, trattosi in mezzo, propese che ciascuna parte lasciasse quel che aveva tolto, e cosi cessasser il mutuo danno. Fu accolto bene il consiglio, e mutata la collera in riso, tornarono più che presto gli uni e gli altri a consolare le desolate famiglie».

La storia ci insegna chi eravamo, il mondo moderno vuole spogliarci dell’orgoglio, vuole che ci si arrenda a vivere in paesi dormitorio e silenziosamente ci si si conformi ad una vita fatta di routine e mediocrità. Alza la testa Asso, non è più tempo di lasciarti soffocare da ignoranza e cemento!!

Davide “Birillo” Valsecchi

Piantato in Asso: le origini del Mito

Piantato in Asso: le origini del Mito

Arianna e Dionisio
Arianna e Dionisio

Il numero di volte in cui sono stato letteralmente “piantato in Asso” da Lex, la più tormentata tra le mie realazione amorose, mi ha spinto a cercare il significato di quest’epressione.

Incredibilmente, è il caso di dirlo, deriva da un mito greco dove un grande amore viene improvvisamente troncato da un repentino abbandono: Teseo infatti abbandona Arianna sull’isola di Nasso (Naxos).

Con sorpresa è stato affascinante analizzare bene il mito: il re di Creta Minosse aveva vinto la guerra contro Atene e per questo motivo esigeva ogni nove anni dei giovani da scrificare al Minotauro. Il Minotauro è una delle figure mitologiche chè più mi impietosisce. E’ un essere mezzo uomo e mezzo toro che Minosse rinchiuse nel famoso labirinto.

Tutti credono che Minosse ne fosse il padre ma la realtà è che la madre, Pasifae, si innamorò perdutamente di un toro (si un toro, uno vero con le corna!) che doveva essere sacrificato a Poseidone. La passione della donna era tale che si rivolse a Dedalo, un’ architetto che era stato bandito da Atene per omicidio ed aveva progettato il famoso Labirinto di Cnosso. Dedalo è anche famoso per avere progettato un paio di ali per il figlio, tale Icaro. Non aggiungo altro. La donna chiese  a Dedalo di costruirle una mucca di legno che le permettesse di accoppiarsi con il toro ed è così che venne concepito il Minotauro.

Nasci mezzo uomo e mezzo toro, sei figlio di madre vacca ed il tuo padre putativo ti rinchiude a vita in un labirinto. Cos’altro ti può andare storto? Solo che arrivi il fighetto di turno per farti la pelle!!

Teseo era un principe ateniese che, con la barca di papà, Re Egeo, arrivò a Creta per uccidere il Minotauro. In realtà chi sia il vero padre di Teseo è dubbio infatti Merea, la madre, fece ubriacare Egeo e, dopo aver avuto un rapporto con lui, si gettò in mare dove ne ebbe un altro con Poseidone. Il solito fighetto raccomandato dall’alto con un ricco padre ubriacone, una madre discutibile e cersciuto nella bambagia.

Ma Teseo era un eroe che voleva salvare dei giovani” . Certo, peccato che la guerra tra Atene e Creta abbia avuto inzio quando Egeo, battuto in una competizione sportiva, uccise Androgeo il figlio di Minosse che, avendo già una moglie vacca, non la prese affatto bene ed alla fine della guerra pretese un tributo di sangue.

Tuttavia quando Teseo raggiunse l’isola Arianna se ne innamorò follemente. L’amore rende piacevolmente stupidi ma anche determinati oltre ogni incertezza. Quel babbeo di Teseo ci avrebbe lasciato la pelle nel labirinto ma Arianna, per salvare l’amato, diede una stupenda dimostrazione di creatività ed ingegno. Il labirinto è una trappola per la mente, un viaggio senza ritorno, lei lo amava e diede lui un filo perchè, tornando sui suoi passi, potesse tornare da lei. Ecco il filo d’Arianna, una splendida promessa d’amore, un giuramento di fedeltà. “Io attenderò a questo capo del filo il tuo ritorno dal labirinto che devi affrontare”. Stupendo.

Lo scemo scannò quel povero freak del Minotauro e seguì il filo per uscire dal labirinto trovando ad attenderlo l’innamorata Arianna. I due salparono alla volta di Atene dove lei sognava di diventare la sua sposa. Il bastardo invece ripartì dall’isola di Naxos abbandonandola mentre dormiva. Piantata in Nasso!

La leggenda vuole che Arianna, disperata per aver perduto l’amato senza nemmeno una spiegazione, soffrisse a tal punto da impietosire il dio Dioniso, noto ai romani come Bacco e patrono del vino. In principio non mi ha stupito molto che Arianna si fosse “data all’alchool” ma il mito ha una conclusione più felice per questa povera ma ingegnosa fanciulla. Dioniso infatti la sposò e, come dono di nozze, le diede un diadema d’oro creato da Efesto che, lanciato in cielo, andò a formare la costellazione della Corona Boreale.

Brava ragazza, sono felice per te!! La mia affasciante “Tesea”, una sincronetta figlia del mare, ha deciso di piantarmi in Asso dopo averle fatto dono dall’India di due magnifici topazi azzurri. “…affinchè i mie occhi siano sempre con te” le avevo promesso, vai a capire! In realtà non sono molto adirato per le due pietre, mi scoccia sopratutto aver perso il sottile spago arancione che avevo utilizzato provvisoriamente come catenina sulla montatura di oro bianco. Era un regalo senza valore di un simpatico tibetano che me lo aveva regalato a Lhe, uno dei pochi che non aveva cercato di sfilarmi soldi.

Forse era veramente tempo di “metterci una pietra sopra” questa storia, vero è che mettercene due e per di più preziose è un tantino esoso anche per uno come me!  (adoro il modo in cui tutta questa storia rotola  tra le frasi fatte!!)

Comunque sia, dopo una rapida ripassata alla mitologia greca, che nulla ha da invidiare alla saccente religione Hindù, mi ritrovo di nuovo piantato in Asso come la bella Arianna. C’e’ da sperare che qualche splendida Venere si commuova per me. In caso contrario, mantenendo le spalle ben protette al muro, mi resta sempre Bacco e la partita a punti con l’etilometro!

Ps. Ieri ho passato il pomeriggio a bighellonare a Como. Io non ci credevo ma il mondo è ancora pieno di ragazze carine. Allargare i propri orizzonti rende liberi =)

Davide “Birillo” Valsecchi

Il Lario nel tempo

Il Lario nel tempo

Il Lario
Il Lario

«Che notizie ci sono di Como, mia e tua delizia, e della bellissima villa suburbana? Di quel portico dove è sempre primavera?»

Queste le parole, ricche di affettuosa ammirazione, con cui Plinio il Giovane , nipote del grande naturalista, in una lettera del 96 D.c. all’amico Canino Rufo celebrava per primo nella storia, le bellezze e i pregi della vita sul lago di Como e tratteggiava quell’atmosfera propria della civiltà della villa del Lario.

Ecco cosa sciveva Cassiodoro, senatore romano e ministro del re Teodorico, tra il 533 e il 537:

«il lago è accolto da una valle molto grande e profonda… attorno si raggruppano, quasi a formare una corona, splendidi gioghi di alti monti… le sponde abbellite dalle ville che le ornano… circondate come da una cintura dal verde perpetuo degli uliveti.»

Paolo Diacono, lo storico longobardo, scriveva nella sua opera I Versi in lode del Lario nel VIII secolo:

«In te è sempre primavera poichè sempre fiorisci nelle verdi zolle… tu sei cinto d’uliveti da entrambe le sponde… i melograni rosseggiano da ambo le sponde per i lieti giardini… le fronde di mirto profumano con le loro bacche… il cedro tutto vince con il suo profumo.»

Per finire quello che scrisse Johann Georg Kohl, geografo e viaggiatore, rendendo così con molta efficacia il clima di autentica frenesia raggiunto dalla moda della villeggiatura sul lago, divenuta già dai primi dell’Ottocento un elemento imprescindibile della vita sociale di allora:

«Il lago di Como non deve mancare in Paradiso, essendo impossibile che sia al mondo un lago che lo avanzi in bellezze naturali. Esso è quindi divenuto, per così dire, il luogo di tutto il mondo colto… e ora non solo nobili lombardi ma anche duchi russi, principi e principesse, ballerine e banchieri parigini posseggono un palazzo d’inverno a Berlino o Pietroburgo, a Milano o a Venezia a Londra o a Parigi, ma anche una villa estiva sul lago di Como.»

Davide “Birillo” Valsecchi

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